Via Crucis 2

a cura di Denise Adversi

ARRENDERSI ALLA LUCE

Cel. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti Amen.
Cel. Il Signore sia con voi.
Tutti E con il tuo spirito.

PREGHIERA CORALE

O Gesù, aiutaci a diffondere la tua fragranza
ovunque noi andiamo.
Infondi il tuo Spirito nella nostra anima
e riempila del tuo amore
affinché penetri nel nostro essere
in modo così completo che tutta la nostra vita
possa essere soltanto fragranza
e amore trasmesso tramite noi e visto in noi,
e ogni anima con cui veniamo a contatto
possa sentire la tua presenza
nella nostra anima, e poi guardare in su
e vedere non più me, ma Gesù.
Resta con noi,
e noi cominceremo a brillare della tua luce,
a brillare per essere una luce per gli altri.
La luce, o Gesù, sarà la tua, non verrà da noi,
sarà la tua luce che brillerà sugli altri attraverso noi.
Lascia che ti rivolgiamo le nostre preghiere
nel modo che più ami, spargendo la luce
su quelli che ci circondano.
Lasciaci predicare senza predicare,
non con le parole, ma con l’esempio.
Con la forza che attrae
e l’influsso di quel che facciamo.
Con la pienezza dell’amore
che abbiamo per te nel nostro cuore.
Amen. (Madre Teresa di Calcutta)

OTTAVA STAZIONE

Gesù mangia la Pasqua con i suoi discepoli  

 Dal Vangelo secondo Marco (14,22-31)

E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”.  Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.  E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.  In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. 

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.  Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: 

 Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. 

 Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea”.  Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!” Gesù gli disse: “In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. Ma egli, con grande insistenza, diceva: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dicevano pure tutti gli altri. 

 Riflessione

Ecco qual è il tuo segreto: benedire, ringraziare. Ciò che rende bella e vivibile la vita non è la capacità di affermarsi e di ottenere pubblici riconoscimenti, ma il dono della gratitudine e di uno sguardo riconciliato. Benedire non significa essere ciechi alle contraddizioni, al dolore, alle ingiustizie, ma vedere più in profondità la fedeltà di Dio alla bellezza del creato. Ringraziare non significa rimanere passivi, ma porre alla base di ogni azione la fiducia. Chi vive così sarà come te, Gesù, felice di donarti non solo nel tuo gesto ultimo di offerta, ma in ogni incontro quotidiano. Chi ha già dato tutto non ha niente da perdere e tu, pur nella fatica di una scelta, sei libero da ogni orgoglio o pretesa. Scusa se ci riconosciamo in Pietro, coltivando l’illusione di essere uomini e donne “che si sono fatti da sé”, come si dice oggi. È difficile per noi bere il tuo sangue, sa di tragedia, ci sconvolge. Eppure sentiamo che solo il tuo sacrificio tocca e guarisce le nostre ferite aperte.  

Invocazioni

Scusaci, Signore, se tanti giorni della nostra vita dimentichiamo di renderti grazie. Rendici riconoscenti anche verso i nostri simili, perché con verità possiamo dire: ℟. Grazie di tutto e per sempre

Per il cammino percorso fin qui, per la nostra storia personale e quella del nostro popolo, per il bene compiuto da tante persone sconosciute in tutte le epoche del mondo
℟. Grazie di tutto e per sempre

Per il nostro presente, così difficile da definire, per la comunità ecclesiale che ci accoglie in seno, per tutte le relazioni che viviamo, anche le più difficili
℟. Grazie di tutto e per sempre

Per il futuro in cui speriamo e per quello che ci sorprenderà, per le speranze che ci fanno pregare, per i volti dei bambini e per i loro cuori che costruiranno una storia nuova
℟. Grazie di tutto e per sempre

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O DIO, che hai preparato per coloro che t’amano così tali beni che sorpassano l’umano intelletto, infondi nei nostri cuori così tale amore verso di te, che noi, amandoti sopra ogni altra cosa, otteniamo le tue promesse, le quali superano tutto ciò che possiamo desiderare. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

NONA STAZIONE

Gesù prega nel Getsemani 

Dal vangelo secondo Marco (14, 32-42)

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”.  Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.  Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”.  Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora.  E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”.  Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?  Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.  Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole.  Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli.  Venne per la terza volta e disse loro: “Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.  Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”. 

Riflessione

Getsemani vuol dire “frantoio”, ma qui ad essere schiacciato non sono le olive, sei tu. E non hai sentore della fragranza meravigliosa che il tuo sacrificio sta per emanare, ma solo di un dolore immane ed insensato. Ti ringrazio per questa fatica, per questo orrore di fronte all’ingiustizia e alla morte. Allora non è peccato essere fragili! Grazie di non essere un eroe, ma solo un uomo innamorato. Un Dio innamorato che contempla la disfatta delle sue aspettative migliori e si sente interiormente diviso.  Per tutta la vita hai vissuto il tuo motto: “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, ma ora sembra che tutto crolli. Non hai mai voluto possedere nulla, soprattutto non hai mai voluto possedere nessuno: ti sei spogliato della divinità per non avanzare diritti su Dio, ma hai lasciato anche ai tuoi fratelli la libertà assoluta di accoglierti o meno. Ed ora non solo ti rifiutano, ma ti fanno fuori. Viene il momento in cui non solo bisogna abbandonare l’illusione di possedere Dio, l’illusione di possedere le persone, ma anche quella di possedere se stessi. Tu ci dai questo esempio: stai per essere tradito (in greco antico “consegnato”), ma sei tu che consegni te stesso.

Salmo responsoriale (30)

℟. Proteggimi, in te mi rifugio

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia.
Tendi a me l’orecchio, vieni presto a liberarmi.
℟. Proteggimi, in te mi rifugio

Sii per me una roccia di rifugio
 un luogo fortificato che mi salva.
Perché mia rupe e mia fortezza tu sei,
per il tuo nome guidami e conducimi.
℟. Proteggimi, in te mi rifugio

Scioglimi dal laccio che mi hanno teso
perché sei tu la mia difesa.
Alle tue mani affido il mio spirito,
tu mi riscatti, Dio fedele.
℟. Proteggimi, in te mi rifugio

Sono il rifiuto dei miei nemici
e persino dei miei vicini,
il terrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.
℟. Proteggimi, in te mi rifugio

Sono come un morto, lontano dal cuore,
sono come un coccio da gettare.
℟. Proteggimi, in te mi rifugio

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O SIGNORE, te ne preghiamo, concedi al tuo popolo la grazia di resistere alle tentazioni del mondo, della carne e del demonio, e di seguire te solo Dio con cuori puliti ed anime pure; per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

 DECIMA STAZIONE

Gesù condannato dal sinedrio 

Dal vangelo secondo Marco (14, 55-64)

I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano.  Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi.  Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo:  “Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo””.  Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde.  Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?” Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”.  Gesù rispose: “Io lo sono! 

 E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo“. 

Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?  Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. Tutti sentenziarono che era reo di morte. 

 Riflessione

Ecco in scena il duello tra paura e libertà. Loro, i tuoi giudici, hanno paura di te, perché sono diventati ministri di una religione della paura. Tu, pur alieno da qualunque ambizione, sei per loro una minaccia. L’ordine costituito, fondato sulla violenza militare e sul terrore religioso, è preferito al cambiamento che una liberazione delle coscienze potrebbe suscitare. Anche se si fonda sulla menzogna: non si trovano nemmeno due testimonianze concordi. Ma tu, perché non cerchi testimoni a tuo favore? C’è Pietro là fuori, lui potrebbe spiegare cosa hai detto veramente… E invece ti metti nei guai. Non hai mai voluto dichiararti Messia, lo devi fare proprio adesso? Lo fai per noi, non per tentare di difenderti. Lo fai perché è ora di dire la verità, adesso che non puoi più essere frainteso. E infatti ti capiscono benissimo, anche meglio di quanto ti abbia capito Pietro. Lo fai soprattutto perché, ora che hai consegnato te stesso fino a metterti in balìa delle loro mani, sei sovranamente libero. Hai rinunciato a te stesso, per questo puoi dire: io sono.  

Invocazioni

Padre, il tuo sguardo su Gesù è fiero e commosso, anche se sembri lasciarlo solo. Tutte le volte che ci sentiamo abbandonati, mettici sulle labbra le sue parole: ℟. Sia santificato il tuo nome.

Tra le mille parole inutili, a volte anche false, fa’ che non temiamo di cercare la verità, ripetendo con la nostra vita:
℟. Sia santificato il tuo nome.

Turbati dalla violenza e dai conflitti che riprendono vigore nel nuovo millennio, aiutaci a non smarrirci, ma a riconoscere il primato dell’amore proclamando con il Figlio:
℟. Sia santificato il tuo nome.

Tentati di isolarci, di chiuderci nel guscio dei nostri interessi personali o di gruppo a causa della eccessiva complessità del mondo in cui viviamo, spingici a spendere le nostre migliori energie per la causa del Regno, custodendo nel cuore la preghiera:
℟. Sia santificato il tuo nome.

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O MISERICORDIOSO Signore, concedi, te ne supplichiamo, al tuo popolo fedele, perdono e pace; affinché sia mondato da tutti i suoi peccati, e ti serva con animo tranquillo; per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

UNDICESIMA STAZIONE

Gesù viene rinnegato da Pietro 

 Dal vangelo secondo Marco (14, 66-72)

Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote  e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: “Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù”.  Ma egli negò, dicendo: “Non so e non capisco che cosa dici”. Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò.  E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: “Costui è uno di loro”.  Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: “È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo”.  Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”.  E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. E scoppiò in pianto. 

 Riflessione

Solo il ricordo delle tue parole, Signore, è in grado di restituire il senso della realtà a Pietro, ormai privo di autocontrollo. È proprio questo che stupisce: mentre tu, umiliato e in catene, sei pienamente padrone di te stesso, lui va in panico di fronte a una minaccia soltanto presunta. Non sappiamo se questa serva, per quanto curiosa e linguacciuta, volesse dileggiarlo o soltanto compatirlo, in ogni caso la reazione di Pietro non sembra proporzionata al pericolo. Eppure dice la verità: non so e non capisco. Il problema è proprio questo: Pietro non sa decifrare gli avvenimenti, sono saltate le sue certezze e i suoi parametri, quindi non sa chi sia Gesù (ma nemmeno lui stesso) né capisce cosa stia accadendo. Tutti sentiamo il bisogno di esercitare una qualche forma di controllo sulla nostra vita, sulle circostanze, a volte anche sulle persone. Avere, sapere, potere sono le tre dimensioni che orientano la nostra quotidianità, dando alle nostre giornate un minimo di sicurezza: altrimenti, non sapremmo come agire. Il Vangelo scompagina totalmente questa prospettiva, proponendoci soltanto due linee orientative: non-essere, amare. Non-essere: lasciare cadere tutte le maschere di grandezza, diventare sempre più piccoli, come hai fatto tu, Gesù, per tutta la vita. Solo così ci si scopre liberi di amare in qualunque situazione, anche la più inaspettata. 

Salmo responsoriale o a due cori (26)

℟. Spera nel Signore, sii forte

Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò paura?
℟. Spera nel Signore, sii forte

Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme.
Se contro di me si scatena una guerra,
anche allora ho fiducia.
℟. Spera nel Signore, sii forte

Ascolta, Signore, la mia voce,
io grido, abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito: cercate il mio volto!
Il tuo volto, Signore, io cerco.
℟. Spera nel Signore, sii forte

Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
℟. Spera nel Signore, sii forte

Non gettarmi in preda ai miei avversari,
contro di me sono insorti falsi testimoni
che spirano violenza.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
℟. Spera nel Signore, sii forte

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O SIGNORE, ti supplichiamo, assolvi il tuo popolo dai suoi peccati, perché per la tua abbondante misericordia siamo tutti quanti liberati dai legami di quelle colpe che per la nostra fragilità abbiamo commesse. Concedi questo, o Padre celeste, per l’amore di Gesù Cristo, nostro benedetto Signore e Salvatore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

DODICESIMA STAZIONE

Gesù viene crocifisso  

Dal vangelo secondo Marco (15, 16-32)

Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.   Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo.   Cominciarono poi a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!».  E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.   Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. 

 Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.  

Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa “Luogo del cranio”,  e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.  Poi lo crocifissero e si divisero le suevesti,tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso.  Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.  La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei”.  Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. 

Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capoe dicendo: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni,  salva te stesso scendendo dalla croce!” 1Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!  Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!”. E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. 

Riflessione

La tua crocifissione, Signore, è una vera e propria parodia della gloria umana. Ovunque, i potenti ricevono omaggi ipocriti e falsi come quelli di questi soldati; ovunque, persone innocenti sono costrette a portare pesi non loro; ovunque, il gusto dell’insulto e della critica pungente si spreca. Per non parlare dei cortigiani di oggi, personaggi rispetto ai quali i tuoi “ladroni”, che come minimo erano omicidi, sembrano angioletti. La differenza è che tu sei re davvero e che il tuo stile di vita, totalmente estraneo ad ogni logica di potere, non giustifica un tale dispiegamento di violenza. Hai scelto l’ultimo posto, e questo non te lo possiamo perdonare: chiunque sceglie di collocarsi in basso si attira le crudeltà di tutto un universo di scontenti, rabbiosi, feriti dalla vita che cercano sfogo alla loro frustrazione nella rottura di ogni freno inibitore. Questa situazione si ripropone a noi quotidianamente, perché tali logiche perverse invadono gli ambienti di lavoro, le relazioni familiari, il mondo della cultura e della scuola. In questo clima di impressionante tragedia, c’è un dettaglio che stupisce: tu rifiuti il vino drogato. È sorprendente: sei presente a te stesso e vuoi rimanere tale, per vivere fino in fondo la situazione presente. Ma perché, cosa ci vedi di buono? Forse di buono ci sei tu, c’è la tua conferma di una scelta d’amore.  

Invocazioni

Padre, quanto è difficile per noi sentirci fratelli! Questa dolce parola fa a pugni con una realtà quotidiana di competizione, arrivismo, freddezza, indifferenza.

Perciò ti preghiamo: ℟. Fa’ che restiamo umani

Se il vortice frenetico degli impegni, la fatica a conciliare molteplici doveri o la pressione delle urgenze, che non sempre sono davvero importanti, ci fa perdere di vista l’essenziale
℟. Fa’ che restiamo umani

Se ci sentiamo incompresi, non visti, non amati o addirittura schiacciati da meccanismi perversi, aiutaci a non cadere nella trappola dell’amarezza e della rabbia
℟. Fa’ che restiamo umani

Se sentiamo il peso del nostro fallimento, sul piano professionale o familiare; se viviamo condizioni di fragilità fisica o psichica che ci sembrano inaccettabili
℟. Fa’ che restiamo umani

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O DIO, siamo posti in mezzo a pericoli così numerosi e grandi che, a motivo della fragilità della nostra natura, non possiamo sempre tenerci saldi. Concedici tale forza e protezione, che ci sostenga in tutti i pericoli, e ci conduca salvi attraverso tutte le tentazioni, per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

TREDICESIMA STAZIONE

Gesù muore  

Dal vangelo secondo Marco (15, 33-39)

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.  Alle tre, Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“.  Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Ecco, chiama Elia!”.  Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere,Do dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. 

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.  Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”. 

Riflessione

Come accadeva al tempo dell’esodo del tuo popolo, la stessa colonna è tenebre per gli uni e luce per gli altri. Tu, il tuo corpo ucciso è questa nube, talmente luminosa che, in confronto ad essa, la luce piena del giorno è buio pesto. E mentre un pagano, che di mestiere fa pure l’omicida, ti riconosce Dio e senso ultimo della storia, quelli che masticano qualcosa di ebraico credono che tu invochi un profeta per scendere dalla croce. Che cosa avrà visto in te il centurione? La mancanza di odio e anche di rabbia, la consapevolezza di essere, nonostante tutto, al tuo posto. Donami di stare, dove tu mi chiami e non vorrei essere, se non proprio con gioia, almeno nella pace. Perché forse non c’è altro modo per strappare il velo che mi separa da tuo Padre, quel velo che sono io, siamo noi a mettere sul suo volto.  

Salmo responsoriale o a due cori (22)

℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza.
Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,

grido di notte e non trovo riposo.
℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode d’Israele. In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati, a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non restarono delusi.
℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

si è affidato a Dio, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico.
Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Da me non stare lontano,
perché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
℟. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

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Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

 ONNIPOTENTE e sempiterno Dio, che per il tuo tenero amore verso il genere umano mandasti il tuo Figlio, nostro Salvatore Gesù Cristo, per assumere la nostra carne e soffrire la morte della Croce, affinché tutta l’umanità seguisse l’esempio della sua grande umiltà, concedi misericordiosamente che noi seguiamo l’esempio della sua pazienza, e altresì siam fatti partecipi della sua risurrezione. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

QUATTORDICESIMA STAZIONE

Gesù viene deposto dalla croce 

Dal vangelo secondo Marco (15,40-47)

C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,  che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato,  Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù.  Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo.  Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.  Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro.  Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto. 

Riflessione

Doveva davvero finire così? La morte è promessa da sempre a ogni uomo che viene nel mondo, e le promesse vanno mantenute. Tu non ti sottrai né alle leggi di natura, né alle conseguenze della libertà umana. Solo che trasformerai il tuo sepolcro nella vera “terra promessa”, da cui scendono per noi fiumi di latte e miele. Quel sepolcro è il grembo del paradiso.  

Ci vuole coraggio a chiedere il corpo di un Dio morto. Giuseppe si espone, come minimo, all’impopolarità, ma il coraggio gli serve soprattutto con se stesso: “ma lascia perdere… a che serve, ormai? È tutto finito”. È la tenerezza – di Giuseppe e di queste donne -, non la forza, che vince sulla disperazione. La cura delle persone non riconosce la morte come ostacolo, è un anticipo di risurrezione. 

Invocazioni

Padre, Gesù non sente più nulla, eppure a noi pare che l’amore di Giuseppe e delle donne debba essere per Te di grande consolazione.

Perciò ti preghiamo: ℟. Donaci un cuore attento

Ci sono molte circostanze, nella vita, in cui ci sentiamo impotenti, perché non possiamo risolvere problemi gravi. Giuseppe e le donne ci mostrano che c’è ancora qualcosa da fare.
℟. Donaci un cuore attento

Tante persone, pur non avendo il dono della fede, sanno guardare negli occhi e ascoltare le sofferenze di coloro che incontrano. Da loro impariamo che la fede può maturare solo su una base di solida umanità.
℟. Donaci un cuore attento

Dove sono i discepoli? Perché non sono loro a chiedere il corpo di Gesù? Aiutaci, Signore, a non abbandonare i corpi dei nostri fratelli, trascurando le necessità dei poveri.
℟. Donaci un cuore attento

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O SIGNORE, da cui procedono tutte le cose buone, concedi a noi tuoi umili servi che, con la tua santa inspirazione, pensiamo a quelle cose che sono rette, e con la tua misericordiosa direzione le compiamo. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

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Chiusa in un dolore atroce,
eri là sotto la croce,
dolce Madre di Gesù.

Santa Madre, deh! Voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore.

QUINDICESIMA STAZIONE

Il sepolcro vuoto 

Dal vangelo secondo Marco (16,1-13)

 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo.  Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.  Dicevano tra loro: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.  Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.  Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto.  Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto””.  Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni.  Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto.   Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. 

Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna.   Anch’essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere. 

Riflessione

È più facile credere alle tenebre che alla luce, anche quando straripa. Per qualche ragione, tu hai scelto infatti di non accecarci mai, di non obbligarci a riconoscerti per quello che sei, lasciandoci liberi di accogliere o meno il tuo mistero. Quante volte hai addirittura imposto il silenzio sui tuoi miracoli! Non ti piaceva essere riconosciuto per il tuo potere. Non era questa la tua via, e non lo è neanche ora. Nessuno dei tuoi discepoli, dopo la risurrezione, rimane folgorato dalla tua luce. Ti lasci piuttosto incontrare nella tua semplice umanità. Le tre donne, che vengono al sepolcro con intenzioni di amorosa cura, sono ancora troppo atterrite dalla tragedia vissuta per lasciarsi andare a sentimenti di gioia, e Marco conclude la versione originale del suo vangelo raccontandoci la loro paura. Anche i versetti aggiunti in seguito, però, testimoniano una perdurante incredulità. Se potessi, ringrazierei di persona questi discepoli spaventati. Aiutaci, Signore, ad arrenderci alla tua luce, ma lascia ai nostri occhi il tempo di abituarsi. Ci vorrà tutta la vita. Perdonaci se, qualche volta, anche le nostre liturgie, come quelle delle tre discepole, sembrano rituali di morte. Fa che siano piene, almeno, di ricerca. E infine lasciati trovare, Vivente, nella nostra Galilea: nel lavoro, negli affetti, nella fatica e nella contraddizione del quotidiano.

Prologo giovanneo (a due cori o in forma responsoriale)

(Gv 1, 1-5.9-13)

℟.  Dio vivente, riempici di luce!

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio,
tutto è stato fatto per mezzo di lui
E senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste.
℟.  Dio vivente, riempici di luce!

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini.
La luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno vinta. 
℟.  Dio vivente, riempici di luce!

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
℟.  Dio vivente, riempici di luce!

Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto
ha dato il potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

Preghiamo (da “Book of Common Prayer” della Chiesa anglicana)

O DIO, il cui benedetto Figlio fu manifestato per distruggere le opere del demonio e farci figli di Dio ed eredi della vita eterna, concedici, te ne preghiamo, che avendo noi questa speranza ci purifichiamo com’ esso è puro; affinché, quando apparirà di nuovo con potere e con gran gloria, siamo fatti simili a lui nel suo eterno e glorioso regno, dove vive e regna con te, o Padre, e con te, o Spirito Santo, sempre un solo Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

CONCLUSIONE

Dagli scritti di don Tonino Bello (a cori alterni)

Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.

Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non so quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire.

Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.

Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio.

Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.