Meditazione

RITIRO COMUNITARIO QUARESIMALE 26 marzo 2022

Giosuè 24,1-15

1Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio.

2Giosuè disse a tutto il popolo: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: “Nei tempi antichi i vostri padri, tra cui Terach, padre di Abramo e padre di Nacor, abitavano oltre il Fiume. Essi servivano altri dèi. 3Io presi Abramo, vostro padre, da oltre il Fiume e gli feci percorrere tutta la terra di Canaan. Moltiplicai la sua discendenza e gli diedi Isacco. 4A Isacco diedi Giacobbe ed Esaù; assegnai a Esaù il possesso della zona montuosa di Seir, mentre Giacobbe e i suoi figli scesero in Egitto. 5In seguito mandai Mosè e Aronne e colpii l’Egitto con le mie azioni in mezzo a esso, e poi vi feci uscire. 6Feci uscire dall’Egitto i vostri padri e voi arrivaste al mare. Gli Egiziani inseguirono i vostri padri con carri e cavalieri fino al Mar Rosso, 7ma essi gridarono al Signore, che pose fitte tenebre fra voi e gli Egiziani; sospinsi sopra di loro il mare, che li sommerse: i vostri occhi hanno visto quanto feci in Egitto. Poi dimoraste lungo tempo nel deserto. 8Vi feci entrare nella terra degli Amorrei, che abitavano ad occidente del Giordano. Vi attaccarono, ma io li consegnai in mano vostra; voi prendeste possesso della loro terra e io li distrussi dinanzi a voi. 9In seguito Balak, figlio di Sippor, re di Moab, si levò e attaccò Israele. Mandò a chiamare Balaam, figlio di Beor, perché vi maledicesse. 10Ma io non volli ascoltare Balaam ed egli dovette benedirvi. Così vi liberai dalle sue mani. 11Attraversaste il Giordano e arrivaste a Gerico. Vi attaccarono i signori di Gerico, gli Amorrei, i Perizziti, i Cananei, gli Ittiti, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei, ma io li consegnai in mano vostra. 12Mandai i calabroni davanti a voi, per sgominare i due re amorrei non con la tua spada né con il tuo arco. 13Vi diedi una terra che non avevate lavorato, abitate in città che non avete costruito e mangiate i frutti di vigne e oliveti che non avete piantato”.

14Ora, dunque, temete il Signore e servitelo con integrità e fedeltà. Eliminate gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume e in Egitto e servite il Signore. 15Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».

  • Contesto storico

Giosuè, successore di Mosè, conduce il popolo d’Israele nella Terra Promessa. Fin dal libro della Genesi leggiamo della promessa di Dio ai patriarchi di una discendenza e di una terra. All’inizio del libro dell’Esodo attestiamo che la promessa della discendenza fatta ad Abramo si è compiuta, ma per tutto il Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) il popolo d’Israele non aveva ancora visto compiersi la seconda parte della promessa, la terra.

In realtà in Terra Promessa Abramo ci era entrato, ma da straniero, senza nulla, come pellegrino; in occasione della morte di sua moglie Sara egli era addirittura entrato in possesso di un pezzo di terra (acquistato dagli hittiti), la grotta di Macpela presso Hebron, che diviene sepolcro per Sara, per Abramo stesso e gl’altri patriarchi (Isacco e Giacobbe).

Il libro di Giosuè appartiene al genere letterario dell’epopea nazionale: Giosuè è l’eroe nazionale che conquista la Palestina. In realtà in questo libro è evidente come la conquista sia opera di Dio (cfr. v. 8 e v. 11: «Ma io li consegnai in mano vostra»; e al v. 10 «Così vi liberai») e il successo di Giosuè deriva unicamente dalla sua fedeltà alla Legge (nel libro dei Giudici c’è una descrizione più realistica della penetrazione graduale del popolo in terra, subendo anche gravi sconfitte).

In questo libro vi è un evidentissimo legame attualizzante con il popolo d’Israele che lo scrive e ne fa la redazione (intorno al 500 a. C.). Gli israeliti, in esilio in Babilonia, fanno una sorta di “progetto utopistico” di come volevano fosse il rientro in terra e ne confezionano un riferimento nella propria storia – vedi l’omonimia fra il Giosuè successore di Mosè che nel XII secolo a. C. circa entra in Terra Promessa e il Giosuè sacerdote che intorno al V sec. a.C. sotto Dario re di Persia organizza il rientro in terra post-esilio babilonese.

L’uscita dall’Egitto e la conquista della Terra Promessa è, infatti, l’emersione del popolo dalla situazione di schiavitù in terra straniera verso la libertà e quindi Egitto = Babilonia.

  • Commento

Le domande per la riflessione vengono espresse personalmente (la mia storia personale), ma possono essere lette anche in senso comunitario (la storia della nostra comunità).

1) v.1 «Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem»Vi è in questo brano una dinamica eucaristica / liturgica. Vediamo in che senso. Giosuè al termine della sua vita/ministero convoca per la seconda volta l’assemblea delle dodici tribù a Sichem. Questa località è significativa: è proprio il luogo in cui il Signore Dio apparve ad Abramo e gli fece la promessa della discendenza e della terra. Il discorso di Giosuè è il rendere esplicito l’adempimento di questa promessa, infatti perlopiù riferisce le parole di Dio. Tali parole raccontano la storia della salvezza e redenzione di Israele (vv 2-13) e in qualche modo ne definiscono l’identità; come a dire: noi siamo popolo di Dio (sua proprietà, perché siamo sue creature), nazione santa (ci prende “a parte”), stirpe sacerdotale (abbiamo il compito di essere mediatori fra Dio e il resto del mondo) perché ci ha salvati dalla schiavitù e da non-popolo ci ha ridato vita nuova nella libertà. È un rendimento di grazie (= “eucarestia”): Giosuè ringrazia Dio per quanto fatto nella storia del suo popolo e convoca il popolo per rinnovare la fedeltà a Dio.

Anche noi oggi siamo chiamati a fare questo: sforzarci di guardare alla nostra storia con occhi di gratitudine, anche quando tutto ci sembra vada per il verso sbagliato.

ª Dinamica eucaristica significa celebrare il memoriale. Non si tratta di un ricordo per il ricordo, sforzo mnemonico, ma attivazione di processi nel presente, ri-attualizzazione dell’azione salvifica di Dio, la sua piena fedeltà dinanzi alla nostra infedeltà; l’umanità è piena di debolezze, facile alle tentazioni. Proviamo a vivere le nostre liturgie in questo modo…

à Ascolto questa storia e provo a sentirmi parte di essa. Quali sentimenti mi provoca?

à Sono disposto ad accettare tutta la mia storia? Quali luci, ombre, gioie, dolori?

2) v. 2 «Essi servivano altri dèi» Permettiamoci un focus sulla storia di Abramo. Leggendo il racconto della sua nascita in Gen 11 ci rendiamo conto di come questi «altri dèi» in realtà sono loro stessi: Terac è un padre fagocitante, non permette ai propri figli di essere veramente tali, esaltando la propria paternità in un rapporto eccessivamente dominante sull’intera famiglia – “Abram” significa “padre elevato”; Nacor è lo stesso nome di suo padre; Aran, invece, muore non appena genera Lot, quasi avesse fatto un affronto al padre Terac. Questi esercita la paternità non permettendo agl’altri di prendere iniziative sulla propria vita (sceglie lui le mogli per Abram e Nacor). Vi è la necessità di “morire” come figli per poter diventare veramente padri e questo Abram e Nacor l’hanno capito provandolo duramente sulla propria pelle: essi diventeranno padri soltanto dopo aver lasciato il proprio (vedi la nascita di Isacco in tarda età).

Dio ci ha creati liberi e vuole che ognuno di noi riscopra la propria identità, ciò che lo rende unico e irripetibile, in qualche modo “separato” dagli altri (cioè “santo”) e per questo creatura amata. Per fare ciò è necessario capire e accettare quali sono i propri limiti e, soprattutto, rispettare i limiti degli altri. Dio per primo ha fatto questo nella Creazione.

à In che situazioni sono bloccato dall’esprimere la mia vera identità? Cosa mi “divora”?

3) v. 3 «Io presi Abramo» Abram però fu chiamato da Dio e posto dinanzi a una scelta, la possibilità di uscire da quella situazione di blocco e, fidandosi di Dio, gli ubbidì. Dio, prendendo l’iniziativa, gli propose un cambio di rotta interiore; assistiamo, quindi, a un atto di fiducia reciproca. Abram prese i primi contatti con la Terra Promessa e imparò, così, a vivere una povertà che non è materiale, ma della speranza, in cui tutto gli era promesso ma nulla gli era ancora dato. Anche noi siamo chiamati a vivere una povertà del cuore, che ama senza possedere.

ª La storia di Abram ci mostra due tentazioni che possono essere anche le nostre:

  1. La tentazione della fuga. In Gen 12,10-20 Abram fugge in Egitto spinto dalla fame e lascia così la Terra Promessa; prende le distanze da una realtà che non è in grado di verificare, di controllare al momento, perché nulla di quanto promesso si è ancora compiuto; ne deve fare di strada ancora…! Quindi mente, spacciando al faraone sua moglie Sara come sua sorella, ma anche qui Dio interviene, non rinuncia alla sua promessa. Abram cresce nell’obbedienza.
  2. La tentazione della fretta. In Gen 13, 1-18 e Gen 14, 1-24 Abram, stanco di aspettare un figlio, si mette lui alla ricerca di un erede. Prova prima con il nipote Lot, poi con il servo Eliezer e infine ha un figlio, Ismaele, con la schiava Agar, spinto da Sara. Tutt’e tre questi tentativi sono destinati a fallire. Abram è sempre più povero e per questo impara a sperare.

ª L’espressione «oltre il Fiume», ripetuta più volte, ha un significato certamente geografico, indicando il passaggio dal deserto, in cui il popolo d’Israele si ritrova a peregrinare provato da fame, sete, nemici interni (tentazioni degli idoli) ed esterni, alla terra al di là del fiume Giordano, cioè la Terra Promessa. L’espressione indica, perciò, anche la conversione d’Israele dall’idolatria e infedeltà del deserto, alla fede in YHWH. Il passaggio attraverso le acque del fiume Giordano / fiume Nilo simboleggia, poi, naturalmente il battesimo (Cfr. 1Cor 10,1-2).

La storia d’Israele è fatta di tensioni (schiavitù, deserto, lotta con i nemici che occupano la terra), ma Dio interviene (piaghe, manna nel deserto, abbattimento dei nemici).

à Quali sono le mie debolezze, fatiche, tentazioni (fuga/fretta) da superare con l’aiuto di Dio?

à Riesco a scorgere la presenza di Dio nei miei deserti oggi, nelle tensioni della mia storia?

4) v. 15: «Sceglietevi oggi chi servire» Questo lo dice anche Gesù in Mt 6,24 («Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza»). Si tratta di una scelta radicale, di una risposta che non può più attendere, di un sì o un no pieno. Alla luce di quanto Dio ha fatto, il popolo è chiamato a gettare via l’uomo vecchio, sbarazzarsi di ogni idolo, di ogni falsità, di ogni schiavitù, per servire il Signore in totalità e con fedeltà. Così noi oggi siamo chiamati a convertirci, riconoscerci deboli per professare la fede in Cristo, l’uomo nuovo, nostra vera speranza di vita.

ª Il verbo è ‘avad, che si traduce sia “lavorare per conto di un padrone, servire” sia “esercitare il culto” e da cui avodah che significa “lavoro” / “culto”. Quando Israele era in Egitto serviva il dio-Faraone come schiavo, ora è chiamato a servire Dio in libertà, come risposta al suo amore e alla sua fedeltà. Servire il Signore dice la nostra libertà dinanzi all’immenso dono d’amore che è il Signore Gesù, incarnato, morto, risorto. Siamo chiamati ad abitare con lui.

à Quali gli idoli di cui sbarazzarmi? Cosa non rende libera la mia relazione con Dio e i fratelli?

à Ho chiaro nella mia vita in chi riporre la mia speranza? Cosa significa questo in concreto?


Giosuè 5,9-12

9Allora il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Quel luogo si chiama Gàlgala fino ad oggi. 10Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. 11Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. 12E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

  • La celebrazione della Pasqua

Nel percorso dell’esodo dall’Egitto alla Terra Promessa possiamo evidenziare la presenza di aspetti positivi, che sono gli interventi di Dio in favore del popolo (qualcosa è stata poc’anzi descritta), segni della sua fedeltà, e aspetti negativi, segni dell’infedeltà del popolo con le sue conseguenze. I primi sono motivo di speranza per gli esiliati in Babilonia, i secondi sono un invito a prendere coscienza che è l’infedeltà ad aver provocato l’esilio e a non ricadere negli stessi errori (teologia ebraica della retribuzione).

Nella Bibbia da Es a 2Re abbiamo traccia di quattro celebrazioni della Pasqua:

  1. La prima è l’istituzione (Es 12): fuoriuscita dalla schiavitù d’Egitto e celebrazione della forza di YHWH creatore e liberatore del suo popolo. Ogni celebrazione pasquale rende attuale questa forza vittoriosa di YHWH e dà speranza al popolo esiliato in Babilonia, che resta il suo “primogenito”. A questa celebrazione segue una peregrinazione nel deserto.
  2. La seconda è descritta in Nm 9 sul monte Sinai, da cui Dio dà l’identità al popolo e la Legge. Segue un’ulteriore peregrinazione nel deserto.
  3. La terza è quella descritta dal brano presentato (prima lettura di domani), cioè Gs 5. Qui il popolo sta per ottenere finalmente la Terra Promessa. Seguono le lotte con i popoli autoctoni, l’epoca dei giudici e quella della monarchia.
  4. Prima della quarta festa descritta nell’Antico Testamento passano molti anni, dobbiamo infatti attendere l’epoca del re Giosia, l’unico re dopo Davide visto in modo positivo, per leggere in 2Re di una nuova celebrazione pasquale. Poco dopo segue l’esilio in Babilonia.

Vi è un legame evidente fra la Pasqua celebrata da Giosuè e quella di Giosia, anzitutto per la semplice somiglianza dei nomi dei protagonisti. Entrambe, poi, sono celebrate nella Terra Promessa: la prima, però, all’inizio della conquista, dopo i quarant’anni nel deserto, la seconda alla vigilia della perdita della terra, perché di lì per quarant’anni ci sarebbe stato l’esilio babilonese.  Così, come fra le prime tre celebrazioni vi è l’intermezzo negativo del deserto, dove il popolo spesso si mostra infedele, anche il periodo della monarchia che intercorre tra la Pasqua di Giosuè e quella di Giosia è un periodo di deserto, ossia di prevalente infedeltà. Tuttavia, come la Pasqua di Giosuè è legata a un segno di speranza, perché Dio sta per donare la terra, anche la Pasqua di Giosia deve contenere un segno di speranza che è appunto il ritorno alla terra.

Così Gesù (forma aramaica di «Giosuè»), con la sua Pasqua, cioè morte e risurrezione, ci chiama alla conversione dai deserti del peccato alla vita nuova, cioè a prendere parte alla vita di Dio, abitare insieme con lui nell’amore; insomma…la vera felicità! Questa è la bella notizia: c’è davvero una speranza per la nostra fragilità, la grazia dello Spirito eleva la nostra debolezza!

à A quale conversione questi quaranta giorni di Quaresima mi hanno chiamato?

à Quale rinascita oggi per la mia vita con la celebrazione della Pasqua?


Giovanni 4,5-42

5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.

31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

  • Commento di papa Francesco (Angelus III Domenica di Quaresima, 23 marzo 2014)

Il Vangelo ci presenta l’incontro di Gesù con la donna samaritana, avvenuto a Sicar, presso un antico pozzo dove la donna si recava ogni giorno per attingere acqua. Quel giorno, vi trovò Gesù, seduto, «affaticato per il viaggio» (Gv 4,6). Egli subito le dice: «Dammi da bere» (v. 7). In questo modo supera le barriere di ostilità che esistevano tra giudei e samaritani e rompe gli schemi del pregiudizio nei confronti delle donne. La semplice richiesta di Gesù è l’inizio di un dialogo schietto, mediante il quale Lui, con grande delicatezza, entra nel mondo interiore di una persona alla quale, secondo gli schemi sociali, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola. Ma Gesù lo fa! Gesù non ha paura. Gesù quando vede una persona va avanti, perché ama. Ci ama tutti. Non si ferma mai davanti ad una persona per pregiudizi. Gesù la pone davanti alla sua situazione, non giudicandola ma facendola sentire considerata, riconosciuta, e suscitando così in lei il desiderio di andare oltre la routine quotidiana.

Quella di Gesù era sete non tanto di acqua, ma di incontrare un’anima inaridita. Gesù aveva bisogno di incontrare la Samaritana per aprirle il cuore: le chiede da bere per mettere in evidenza la sete che c’era in lei stessa. La donna rimane toccata da questo incontro: rivolge a Gesù quelle domande profonde che tutti abbiamo dentro, ma che spesso ignoriamo. Anche noi abbiamo tante domande da porre, ma non troviamo il coraggio di rivolgerle a Gesù! La Quaresima, cari fratelli e sorelle, è il tempo opportuno per guardarci dentro, per far emergere i nostri bisogni spirituali più veri, e chiedere l’aiuto del Signore nella preghiera. L’esempio della Samaritana ci invita ad esprimerci così: “Gesù, dammi quell’acqua che mi disseterà in eterno”.

à Quali sono le domande che mi porto dentro e che oggi voglio rivolgere a Gesù?

Il Vangelo dice che i discepoli rimasero meravigliati che il loro Maestro parlasse con quella donna. Ma il Signore è più grande dei pregiudizi, per questo non ebbe timore di fermarsi con la Samaritana: la misericordia è più grande del pregiudizio. Questo dobbiamo impararlo bene! La misericordia è più grande del pregiudizio, e Gesù è tanto misericordioso, tanto! Il risultato di quell’incontro presso il pozzo fu che la donna fu trasformata: «lasciò la sua anfora» (v. 28), con la quale veniva a prendere l’acqua, e corse in città a raccontare la sua esperienza straordinaria. “Ho trovato un uomo che mi ha detto tutte le cose che io ho fatto. Che sia il Messia?” Era entusiasta. Era andata a prendere l’acqua del pozzo, e ha trovato un’altra acqua, l’acqua viva della misericordia che zampilla per la vita eterna. Ha trovato l’acqua che cercava da sempre! Corre al villaggio, quel villaggio che la giudicava, la condannava e la rifiutava, e annuncia che ha incontrato il Messia: uno che le ha cambiato la vita. Perché ogni incontro con Gesù ci cambia la vita, sempre. È un passo avanti, un passo più vicino a Dio. E così ogni incontro con Gesù ci cambia la vita. Sempre, sempre è così.

à Quale sete oggi mi muove?

In questo Vangelo troviamo anche noi lo stimolo a “lasciare la nostra anfora”, simbolo di tutto ciò che apparentemente è importante, ma che perde valore di fronte all’«amore di Dio». Tutti ne abbiamo una, o più di una! Io domando a voi, anche a me: “Qual è la tua anfora interiore, quella che ti pesa, quella che ti allontana da Dio?”. Lasciamola un po’ da parte e col cuore sentiamo la voce di Gesù che ci offre un’altra acqua, un’altra acqua che ci avvicina al Signore. Siamo chiamati a riscoprire l’importanza e il senso della nostra vita cristiana, iniziata nel Battesimo e, come la Samaritana, a testimoniare ai nostri fratelli. Che cosa? La gioia! Testimoniare la gioia dell’incontro con Gesù, perché ho detto che ogni incontro con Gesù ci cambia la vita, e anche ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia, quella gioia che viene da dentro. E così è il Signore. E raccontare quante cose meravigliose sa fare il Signore nel nostro cuore, quando noi abbiamo il coraggio di lasciare da parte la nostra anfora.

à Qual è l’“anfora” che devo abbandonare per fare spazio all’amore di Dio nella mia vita?

à Come testimoniare oggi ai miei fratelli l’incontro gioioso con Gesù?